TRA BESTIA E CIELO

Nicola Alessandrini Solo ArtShow

a cura di Francesco Paolo Del Re,
Nico Murri e Roberta Fiorito

Sabato 1 ottobre

Ore 19.00

Via Celentano 39, Bari

In mostra dal 1 al 20 ottobre 2011

 Uomini-cane e bambini sfigurati, scimmie con tre occhi, una donna-pesce in agonia: famelici ibridi nati dalla mescolanza o dalla lotta tra uomini e animali, figli inquieti di una mutazione antropologica che sembra generata dall’alterazione degli equilibri evolutivi e delle convenzioni culturali invalse per millenni, sono i protagonisti della recente ricerca pittorica di Nicola Alessandrini, che parte da una scientifica descrizione del dato naturalistico per trascinare lo spettatore nelle catastrofiche visioni di un’umanità sospesa tra le contrastanti pulsioni dell’abbrutimento della carne e dell’euforia del volo. Per l’inaugurazione della stagione espositiva 2011-2012 della Fabrica Fluxus Art Gallery di Bari, viene presentata per la prima volta in Puglia la pittura visionaria e destabilizzate di Nicola Alessandrini (Macerata, 1977). In occasione della mostra personale intitolata “Tra bestia e cielo”, a cura di Francesco Paolo Del Re e Roberta Fiorito, l’artista marchigiano presenta negli spazi di Fabrica Fluxus tre serie di nuove opere, due trittici pittorici di grandi dimensioni e alcuni lavori di dimensioni più ridotte, accompagnati da un intervento installativo. La mostra inaugura sabato 1 ottobre alle ore 19 ed è visitabile fino al 20 ottobre. Nel solco di una riflessione tematica e iconografica volta a indagare una sorta di subconscio collettivo e popolare che da sempre caratterizza la sua opera, la mostra “Tra bestia e cielo” di Nicola Alessandrini affronta nello specifico i temi della de-naturalizzazione dell’individuo, della perdita d’identità, del contrasto generazionale, della paternità e della maternità, dell’oblio dell’uomo nella natura. La metamorfosi, il richiamo di un’irresistibile bestialità, il senso dell’agonia, la dissipazione in un desiderio di cielo invadono lo spazio di Fabrica Fluxus dispiegandosi, come tessere di un mosaico o elementi di un rebus, nelle varie tele che compongono tutte insieme un singolare Frankenstein espositivo, ottenuto dall’addizione di singoli enunciati pittorici e dalla fagocitazione dello spettatore nel punto di domanda di una latente apocalisse, capace di umanizzare l’ansia del sacro in un gorgo di meraviglia e orrore.

 

Il blues vischioso del trombettiere dell’Apocalisse

Uomini-cane e bambini sfigurati, scimmie con tre occhi, uccelli in foggia di fungo, una donna-pesce in agonia: famelici ibridi nati dalla mescolanza o dalla lotta tra uomini e animali, figli inquieti di una mutazione antropologica che sembra generata dall’alterazione degli equilibri evolutivi e delle convenzioni culturali invalse per millenni, sono i protagonisti della recente ricerca pittorica di Nicola Alessandrini. A partire da una scientifica descrizione del dato naturalistico, l’artista trascina lo spettatore nelle catastrofiche visioni di un’umanità sospesa tra le contrastanti pulsioni dell’abbrutimento della carne e dell’euforia del volo. Nel solco di una riflessione tematica e iconografica volta a indagare una sorta di subconscio collettivo e popolare che da sempre caratterizza la sua opera, la mostra “Tra bestia e cielo” affronta nello specifico i temi della de-naturalizzazione dell’individuo, della perdita d’identità, del contrasto generazionale, della paternità e della maternità, dell’oblio dell’uomo nella natura. La metamorfosi, il richiamo di un’irresistibile bestialità, il senso dell’agonia, la dissipazione in un desiderio di cielo invadono lo spazio della galleria Fabrica Fluxus dispiegandosi, come tessere di un mosaico o elementi di un rebus, nelle varie tele che compongono tutte insieme un singolare Frankenstein espositivo, ottenuto dall’addizione di singoli enunciati pittorici e dalla fagocitazione dello spettatore nel punto di domanda di una latente apocalisse, capace di umanizzare l’ansia del sacro in un gorgo di meraviglia e orrore. L’attenzione di Alessandrini si concentra nell’analisi di fondamenti e incertezze di un umanesimo adulterato. Pur essendo rotto l’incanto di pensarsi creatura guidata da una mano di superiore potenza nell’avventura della Storia, la condizione dell’umanità contemporanea non cessa di essere simile, nella sua pura arbitrarietà, a quella che fu assegnata ad Adamo secondo la celebre formulazione del “De hominis dignitate” di Pico della Mirandola: “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti, tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine”.

L’affaccendarsi dell’uomo, lanciato come un pugno di molecole qualsiasi tra le altre aggregazioni di particelle dell’universo, per Alessandrini è più Calvario che Eden. Il rituale, il simbolico, la polarizzazione culturale, l’idioletto, le risacche della cultura di massa, le mitologie di ritorno ricordano che però più di Pico della Mirandola il vento che oggi sobilla i nostri umori e i nostri consumi è quello di Maria De Filippi e Bruno Vespa, esegeti dell’addomesticamento televisivo della Bestia mai sopita. Non si creda, tuttavia, che questa osservazione sia ragione sufficiente per rinunciare al sogno e affievolire la voce. 
Né fa perdere ad Alessandrini il rigore e la lucida nitidezza del realismo pittorico delle sue visioni, sempre ascetico e infantile, ironico e spietato, in ogni iperbole. E così le glosse dell’imbesuimento non sono scomposte lallazioni, ma scientifiche fantasmagorie. Cosmogonia nell’Apocalisse? Distopie di uno spirito del tempo che si compiace della contemplazione della dissonanza. In una giga di metamorfosi e oltreumana entropia di opposti. Nel metabolismo digestivo che si fa possibilità di visione e nell’eclettismo espressivo fatto di pittura, disegno, collage, videoarte, installazione, il cinema di genere è un pretesto (le mutazioni dell’horror non sono forse quotidiana riviviscenza dell’ombra della leggenda?), una delle tante pelli da abitare; la storia dell’arte è un repertorio di citazioni da tradire (come ipotizza la carcassa macellata che attraverso Francis Bacon porta fino ad Annibale Carracci); il teorema scientifico e il paradigma sociologico sono un palinsesto per barbariche riprogrammazioni. L’invito dell’artista è in fondo alla crasi, più densa della crapula perché consumata nei suoni prima che nei segni, nell’immaginario prima che nella codificazione di un’icona.

Francesco Paolo Del Re
Settembre 2011

“Tra bestia e cielo”

Il mondo messo in scena da Alessandrini è ribollente di tensioni e contrasti. Un mondo in cui, con brillante ironia e acuta analisi delle dinamiche sociali della nostra modernità, ritroviamo i grandi temi dell’infanzia perduta, della denaturalizzazione dell’individuo, della perdita d’identità, dell’oblio dell’uomo nella natura… Tutte le certezze vengono minate, stravolte e vivisezionate, in bilico fra favola nera, rimandi gotici, atmosfere oniriche e tinte acide.

La poetica dell’autore prende forma attraverso la pittura, il disegno, il collage e l’installazione con disinvoltura, mostrandosi a noi in tutta la sua irruenza e portando con se l’eco di una certa tradizione surralista quanto le più recenti ricerche del tedesco Marco Wagner, dell’americana Elizabeth McGrath e dello svizzero Lèopold Rapus.I suoi ibridi sono cartine da tornasole attraverso cui guardare ai nervi scoperti della società, la sua visionarietà, nel rigore, si fa invito alla consapevolezza. “Tra Bestia e cielo” è l’urlo straziante di un’umanità i cui corpi spezzati, dondolanti, innestati, contriti e rannichiati assumono le sembianze di bestie umanizzate o uomini zoomorfizzati. Una Natura matrigna quella rappresentata da Nicola Alessandrini. Un urlo primordiale o la ripicca di una Natura che si impossessa dell’umanità piegandola alle sue più istintive manifestazioni di bestialità. Una parabola che scavalca l’ideale armonioso di uomo immerso nella Natura benigna, per diventare spinta incontenibile all’azione, impulso alla distruzione fuori e dentro di noi. Una Natura che non conforta, che ricade sull’uomo come una punizione da espiare, una sorta di nuovo peccato originale. E così i due trittici realizzati da Alessandrini portano nel loro dna una sacralità conturbante. Una divinità-bambino offerto in sacrificio, o nel bel mezzo di una mutazione, si offre come corpo monco, sfigurato e sacrificale all’adorazione e letteralmente “in pasto” a uomini belve urlanti e contorte nella loro disperazione. In un continuo via vai di rimandi fra trinità, sacra famiglia, cannibalismo, contese, soprusi, volontà di appropriazione e possesso dove i due, un uomo e una donna lupo, rimangono schiacciati dalla loro stessa condizione sociale, dal loro essere carnefici. Un umanità, quella di Alessandrini, che, più di muovere il sole e le altre stelle, sembra rimanere incastrata sotto il peso delle sue stesse ombre. Segue la serie “corpi celesti”, una sorta di aldilà, uno spazio altro- lo si vede già dalla geometria frattale della terra che ospita i protagonisti- dove va in scena una rivisitazione/riflessione sull’origine del mondo. Una scimmia triclope, i cui rimandi vanno da “2001 Odissea nello spazio” al “Pianeta delle scimmie”, domina impunemente la scena, con accanto due moderni Adamo ed Eva dai visi avvolti in celesti nebbie fra brandelli di carni sezionate e brutalità in azione. Siamo già ben lontani dal Paradiso Terrestre, ben fuori dalle delizie della salvezza… L’ultimo ciclo di lavori è quello degli “uccelli”, a prima vista, più silenzioso e sussurrante. Disegni e collage, di dimensioni ridotte rispetto alla monumentalità degli altri lavori in mostra, dove ibridi uccelli/piante senza testa, intrecciano un dialogo, con delle gabbiette bianche nelle quali resti, brandelli di memoria culturale/tecnologica, raccontano di un’umanità oramai volata via, di cui rimane appena un ciuffo di capelli e poco più, in un silenzio siderale ancor più rumoroso…

Roberta Fiorito
Settembre 2011

 

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